Maranza non vanno rieducati: devono essere REMIGRATI
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### I maranza e l’illusione della rieducazione: l’Italia non è un laboratorio per l’islamizzazione strisciante
L’Italia assiste, attonita e impotente, al proliferare di quelle bande giovanili che la cronaca chiama “maranza”, branchi di adolescenti e ventenni di seconda generazione – quasi sempre figli di immigrati provenienti da contesti islamici o subsahariani – che seminano terrore nelle periferie delle grandi città. Rapine violente, accoltellamenti per un telefono, pestaggi gratuiti, stupri di gruppo: non si tratta di “ragazzi difficili” o di “devianza giovanile”, come ipocritamente ripetono i buonisti nei salotti televisivi e nelle aule universitarie. Si tratta di una guerra a bassa intensità dichiarata contro la nostra civiltà da una generazione che non ha mai voluto integrarsi e che, al contrario, coltiva un odio viscerale verso tutto ciò che è italiano, cristiano, occidentale.
L’ultimo episodio – il giovane di 21 anni accoltellato a morte a Milano per un portafogli e un altro massacrato a Treviso – è solo la punta di un iceberg che affonda le sue radici in decenni di immigrazione incontrollata. Questi “maranza” non sono nati in Italia per caso: sono il frutto prevedibile di politiche migratorie suicide, di ricongiungimenti familiari indiscriminati, di un’ideologia multiculturale che ha imposto la convivenza forzata con culture radicalmente incompatibili con i nostri valori. Cresciuti nelle nostre scuole, nutriti con i nostri sussidi, educati (si fa per dire) con i nostri principi di tolleranza, hanno scelto consapevolmente la via della violenza tribale, del disprezzo per la legge, dell’arroganza predatoria.
E qui arriva il mantra ipocrita dei buonisti: “Bisogna rieducarli”. Corsi di inserimento, progetti sociali, mediatori culturali, centri di aggregazione, psicologi, educatori di strada. Milioni di euro buttati in un pozzo senza fondo per “recuperare” chi non vuole essere recuperato. Chi pronuncia queste parole vive in quartieri blindati, manda i figli in scuole private, non mette mai piede in una periferia dopo il tramonto. Loro possono permettersi il lusso del buonismo astratto; le famiglie italiane che vivono accanto a questi branchi no.
La verità, scomoda ma evidente, è che la rieducazione è un’illusione pericolosa. Questi giovani non sono “deviati” da un sistema che li ha emarginati: sono l’espressione fedele di un’identità culturale che rifiuta l’integrazione e che, in molti casi, vede nella sottomissione dell’Occidente un dovere religioso o tribale. Non si tratta di povertà – molti di loro provengono da famiglie che ricevono redditi di cittadinanza e sussidi superiori alla media italiana. Non si tratta di mancanza di opportunità – hanno avuto scuole gratuite, corsi di formazione, accesso allo sport. Si tratta di una scelta ideologica e culturale, fedele al loro sangue: odiare l’Italia che li ha accolti e punirla con la violenza. Perché l’accoglienza è stupidità e la stupidità viene sempre punita.
L’unica soluzione reale, l’unica che rispetta la sicurezza e la dignità del popolo italiano, non è la rieducazione: è la remigrazione. Chi è nato qui da genitori stranieri e sceglie deliberatamente la via del crimine deve perdere il diritto di restare. Un diritto che, tra l’altro, mai dovrebbe avere acquisito. Non basta l’espulsione: bisogna interrompere la catena. Revoca della cittadinanza acquisita per ius soli mascherato, revoca del permesso di soggiorno ai familiari, rimpatrio coatto dell’intero nucleo verso il Paese d’origine. Duro? Sticazzi. L’alternativa è consegnare le nostre città a branchi che considerano la violenza un diritto e le nostre figlie una preda.
I buonisti gridano al razzismo. Ma il vero razzismo è quello contro gli italiani: sacrificare la loro sicurezza, la loro libertà, il loro futuro sull’altare di un esperimento multiculturale fallito. L’Europa che si islamizza strada per strada, quartiere per quartiere, non è una profezia: è la realtà che stiamo vivendo. I maranza sono l’avanguardia di questa sostituzione etnica e culturale. Continuare a parlare di “rieducazione” significa arrendersi.
È tempo di scegliere: o difendiamo la nostra civiltà con misure radicali – remigrazione, chiusura delle frontiere, stop ai ricongiungimenti – o accettiamo di diventare stranieri in casa nostra. Non c’è terza via. La tolleranza verso chi ci odia è suicidio. E l’Italia non può più permetterselo.


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